"Nei suoi lavori,con particolare attenzione ai disegni, c'è una sorta di energia da cui traspare un rituale ed una concezione di tipo emotivo che le è congeniale.Ciò che desidera rappresentare nei suoi lavori è la materializzazione di vicende che appartengono al suo inconscio e che diventano di volta in volta testimonianze esistenziali" (Romeo Mesisca) |
Referenze: Studio d'arte Romeo Mesisca Pittore: Figurativo Soggetti: Composizioni, ritratti, figure Critica: citazioni dalla stampa specializzata, testimonianze di Mesisca ed altri. Le sue opere figurano in collezioni private. Presente in prestigiosi annuari e cataloghi d'arte moderna e contemporanea(Boè 2007). Numerose le rassegne e le mostre collettive in cui ha raccolto giudizi lusinghieri da parte della critica |
Bisogna sempre partire dalle “referenze” per definire se stessi: è a questo che ci ha abituato la cosiddetta società civile. Parola chiave: curriculum vitae; alias spiccia definizione di se stessi mai al di fuori del perimetro del superfluo.
In controdendenza con questa visione presento una breve storia atta a chiarificare le circostanze che mi hanno spinta ad intraprendere attività creative, o artistiche, che dir si voglia. Creare alla base vuol dire intrattenersi. Come molti figli unici, o forse come la maggior parte delle indoli individualiste ed egocentriche, come io preferisco pensare, giostro sull’intrattenimento la maggior parte della mia vita. E’ una forma reiterata di amor proprio; è, rimane, e temo, resterà, l’unico modo rimastomi per provare stupore, e dunque, per dirla alla Oscar Wilde, per riuscire a “sopportarmi”. “L’uomo è differente dagli altri animali perché non sa esserne uno preciso” scriveva Pessoa. Forse nemmeno un artista sa essere un artista preciso. Amo scrivere quando non riesco a dimensionare la vita e tutto mi sembra altisonante ed indefinito. Il più delle volte accade quando penso vi sia qualcosa o qualcuno da amare, o tuttalpiù per disperazione, o per melanconia. La poesia è la chiave di volta per congelare la bellezza e riproporla nel dettaglio al di sopra del tempo e dello spazio. Amo recitare perché per quante personalità riesca a raccogliere in un solo corpo, mi sento sempre, inevitabilmente, mutilata di quanto potrei o vorrei essere. Amo il disegno e la pittura come mezzo per riproporre e svelare l’inquietudine. Vedo bellezza laddove qualcosa di scheletrico, di ossuto, di smunto, si rivela accartocciato come una foglia al cospetto delle intemperie artificiali dell’umanità. Amo suonare per “dimenticarmi”, per essere la frazione svagata di qualcosa che non pensa e che pertanto non sente. Ho iniziato ad intraprendere la totalità delle attività che ho menzionato da adolescente, quando frequentavo le scuole medie. Prendevo lezioni private di chitarra classica, frequentavo un’associazione teatrale(l’Uccellino Azzurro) fondata da quella che sarebbe poi diventata un‘insegnante di Eutheca, accademia di Cinecittà: Federica Tatulli. Iniziai a frequentare la bottega di un pittore (Romeo Mesisca) che era stato allievo di Renato Guttuso e amico di Schifano, Festa, e qualche altro pittore con fama di “dannato” della vecchia cerchia di via Margutta. Mia madre aveva letto un articolo su di lui da Vertecchi, mentre io sceglievo carboncini, matite, colori. Fu così che presi nota,telefonai e infine presi appuntamento. |
Non ho mai capito se voler essere tutte queste cose, tutti questi personaggi, fosse una voglia di pura interpretazione, un capriccio o un’esigenza.
Quando Romeo mi vide la prima volta disse che ero troppo piccola per entrare in una bottega, ma mi permise di tracciare un disegno di prova e decise di prendermi. Fu in quella bottega che capii che sull’arte c’è poco da imparare, che si finisce per riesprimere se stessi progredendo solo in apparenza, che non bisogna adattarsi alla tecnica ma far sì che la tecnica si adatti a noi, senza cercare di addomesticarla, esprimendola in chiave del talento, coesistendo come in un’amicizia, una convivenza. Noi siamo la nostra visione delle cose, uno sguardo unico che tende alla bellezza. “Non siete voi a scegliere il palcoscenico, ma il palcoscenico a scegliere voi” disse un giorno Federica prima di raccontare la storia di Amleto, per quella che fu la mia prima volta. Perdonatemi il modo frastagliato ed incongruente di raccontare, ma sto lasciando scorrere le impressioni senza forzarle. Io sono il cappellaio matto, la lepre marzolina, stralci di poesia tirati fuori da quando ho voce; Ofelia, Amleto, qualche brano languido jazz e il sangue che ribolle nel flamenco; sono il punto di vista di un programma radiofonico, il colore intaccato su fogli di compensato, la traccia dura e perentoria di una penna che scorre sinuosamente sulla carta. Ho sognato, non ho fatto altro che sognare. Mischiando il sogno con la vita ho lasciato tracce di me indipendentemente dall’importanza che possano assumere per gli altri. Esiste una dimensione completamente egoista di me che è l’arte, una vanità esplicata in volontà di sentirsi, di farlo con ogni mezzo e ad ogni costo. Tralasciando gli errori e gli eccessi di vedute, la gioia che mi arreca sembra darmi ragione. “Il cuore ha più stanze di un bordello” dice G. Marquez, vale la pena, dunque, esplorarle tutte? Credo di aver scritto una volta che gli artisti sono “ schiavi della suggestione”, ma si trattava di un libro e, francamente, di un’altra storia. L’uomo è arrivato a “catturare” la luce, il tempo, i pensieri, le parole, con il miraggio di trasportare i sogni, perché la morte non lo cogliesse sprovvisto di entusiasmo. |